
In questo momento storico è sempre più frequente una pratica antipatica e profondamente scorretta: cercare di ammorbidire la realtà con una terminologia impropria ma rasserenante.
Noi non ci stiamo e vogliamo chiamare col proprio nome quello che sta succedendo oggi in Siria: non è un intervento militare, non è un atto di contrasto al terrorismo, non è un’azione di pace. È un genocidio.
Non sta a noi riprendere riflessioni geopolitiche che esperti hanno già analizzato a fondo, per questi aspetti vi rimandiamo ad articoli professionali che potete trovare su “il secolo XIX, edizione del 13 ottobre”, sul “the Guardian” in un articolo a firma Martin Chulov o sul “Globalist” edizione del 12 Ottobre.
Noi vogliamo dare un volto a questa tragedia, quello di Hevrin Khalaf.
Lei era segretario generale del Partito Futuro Siriano e una delle più note attiviste per i diritti delle donne della regione. Si batteva altresì per la coesistenza pacifica tra curdi, cristiano-siriaci e arabi.
Era la speranza di raggiungere un equilibrio in un area del mondo che non conosce pace.
Hevrin è stata rapita e decapitata nel corso di un raid oggi,13 Ottobre.
Che la crudezza di queste parole sia da monito e da stimolo: la sua vita pesa sulle coscienze della comunità internazionale, che ha permesso a Trump di consegnare a Erdogan la pistola da puntare alla testa dei Curdi. Che il Partito Democratico, l’Italia e l’Europa siano netti, basta con gli equilibrismi e le parole dette a metà. Che Erdogan fermi ora il genocidio, in caso contrario che si attuino sanzioni internazionali, boicottaggi di ogni genere (in particolare nella vendita di armi).
Grazie per quello che ci hai dato, Hevrin. Il tuo messaggio camminerà sulle nostre gambe.