L’alba della riscossa
Questa mattina, mi son svegliato…
E ho trovato un popolo che ha deciso di riscattarsi dal pensiero unico del sovranismo.
Uscendo di casa, oggi, l’aria sembrava più leggera: le elezioni in Emilia Romagna non solo riconsegnano alla regione il miglior governatore per quel territorio, ma mandano un messaggio chiaro a tutta l’Italia.
Il messaggio è che la Bestia si può battere, che siamo ancora tanti a credere in un mondo diverso, che non è vero che suonare ai citofoni con metodi da Gestapo porti sempre i frutti sperati. L’Emilia ci dimostra che l’Italia ha riscoperto la volontà partigiana, nel senso di prendere parte contro i professionisti dell’odio.
In Calabria i risultati sono sicuramente meno esaltanti, ma possiamo salvare il fatto che il PD risulti primo partito della regione (pur tenendo conto dello spacchettamento dei voti di Forza Italia tra le varie liste civiche) e che la Lega non sfondi: Matteo, quando dici che 60 milioni di italiani sono con te prendi un abbaglio, gli italiani ti relegheranno a breve nel buco che il tuo immenso ego creerà crollando.
Ma diamo uno sguardo ai numeri, che spesso possono trarre in inganno ma dai quali bisogna sempre partire per comprendere un momento storico:
- Affluenza più che raddoppiata rispetto alle Regionali 2014 in Emilia: da 31% a 67,7%;
- Sempre in Emilia il PD si attesta al 34,7% sfiorando i 750000 voti di lista, ai quali si possono aggiungere almeno in parte i voti delle liste civiche a sostegno del Presidente;
- A Bologna il PD sfiora il 40% e a Bibbiano supera il 40%;
- A parità di affluenza il 15,7% del Pd in Calabria può essere la base per ripartire, ricostruendo il Partito Democratico dalle fondamenta;
Quando l’affluenza cresce è sempre un’ottima notizia: sia che l’elettorato si rivolga a noi sia ai nostri contendenti. Il dato di ieri però ci fa particolarmente piacere perché “l’effetto sardine” ha risvegliato la passione e la speranza di centinaia di migliaia di persone, che si sono recati nuovamente alle urne.
Non cadiamo però in errore: non basta la paura di Salvini, non basta il meno peggio, non basta tirare a campare. In Emilia Romagna abbiamo vinto perché abbiamo saputo presentare un candidato autorevole e una squadra convincente. Bonaccini è la dimostrazione che il nostro popolo non è sparito, ma ci osserva con attenzione. Quando non ci sostiene vuol dire che abbiamo sbagliato noi qualcosa, indipendentemente dal fatto che il livello sia nazionale, regionale o anche locale.
Concedetemi un passaggio su Bibbiano: simbolicamente è la vittoria di una parte, quella democratica, progressista e legalitaria. Perché noi ben ci ricordiamo, qui in Piemonte nello specifico, cosa abbia significato in termini propagandistici il caso Bibbiano. Siamo partiti con gli striscioni appesi al palazzo della regione per arrivare al drammatico disegno di legge Caucino “allontanamenti zero”. Sì, avete capito bene, la proposta che mira ad eliminare gli affidamenti proposta da quell’assessora che in consiglio regionale aveva dichiarato che il Partito Democratico era direttamente collegato ai fatti (ci sono le riprese video del Consiglio Regionale a testimoniarlo).
Le risposte che i cittadini hanno dato sono due: la prima è che chi specula sulle disgrazie di famiglie per esclusivi fini elettorali è da isolare, la seconda è che il metodo da Santa Inquisizione svolto da Salvini, Caucino, Forza Nuova e Casapound non sfonderà mai nella terra dei ribelli, padri fondatori della nostra bella Italia.
Ieri non abbiamo vinto la guerra ma abbiamo iniziato una battaglia che deve indirizzarci sulla strada della costruzione di un Partito che sia la rappresentazione della nostra gente: buona amministrazione, unità, rinnovamento della classe dirigente, visione multiculturale del mondo, progresso volto alla diminuzione delle disuguaglianze sociali, patto generazionale sulla tutela dell’ambiente e investimenti sull’innovazione.
L’analisi sarebbe incompleta se non si sottolineasse il crollo del Movimento 5 Stelle: per alcuni è la fine di un sogno, per altri la cartina di tornasole dello scontro frontale avuto con le responsabilità di governo, per altri ancora la conseguenza di un’ambiguità di fondo sui valori fondanti.
Il dato certo è solo uno: è finita l’epoca del tripolarismo.
Ora il Partito Democratico dovrà fare molta attenzione ed evitare svolte proporzionali che avrebbero il solo risultato di approdare a governi raffazzonati e litigiosi. Non dobbiamo scappare da Salvini, dobbiamo sfidarlo sulla visione del mondo e sulle sfide contingenti. L’abbiamo battuto ieri, possiamo batterlo ancora.
Il Mattarellum può essere una buona proposta dalla quale partire?
Ora è il momento di costruire: che il Segretario Zingaretti, a cui la storia riconoscerà il merito di aver riportato un PD considerato morto nel 2018 ad essere di nuovo un’alternativa credibile alle destre, prosegua con l’azione annunciata in campagna elettorale: si ristrutturi il partito dalle sue fondamenta, aprendo alla società civile, alle Sardine, ai Fridays or Future ma radicalmente.
Il nuovo Partito Democratico abbia il coraggio di mettere nelle prime file nuovi dirigenti sostenuti dall’esperienza degli storici dirigenti, poiché solo così avremo un campo largo pronto a sfidare le destre populiste e non “un vecchio palazzo a cui ridipingiamo la facciata”.
Ce la faremo, Compagni, io ci sono!