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L’Italia alla prova della Gig economy: nuovi lavori, nuove necessità

L’Italia alla prova della Gig economy: nuovi lavori, nuove necessità

Nell’oceano del malessere provocato da una pandemia che continua a mietere vittime, provocando strascichi e rallentamenti necessari ma complessi da affrontare per una grande fetta del mondo produttivo del nostro paese, ogni tanto un lume di speranza si accende.

E’ questo il caso del “modello Italia”, indicato dal Financial times come esempio per le misure messe in campo per cercare di normare il mondo complesso e in continua evoluzione delle nuove professioni della Gig Economy: parliamo di rider, fattorini, autisti che lavorano per le piattaforme digitali che stanno monopolizzando i consumi e i servizi.

Il progresso non può e non dev’essere demonizzato a priori, una seria analisi della questione non può che rilevare che la crescita esponenziale del fatturato di queste aziende sia la naturale conseguenza di un cambiamento nelle abitudini di spesa di ognuno di noi. In questo periodo di restrizioni la crescita è stata esponenziale e si può supporre che alcune abitudini saranno conservate anche una volta rientrati nella “normalità”, basti pensare al food delivery, la consegna a domicilio del cibo. Abitudine, tra l’altro, già in costante crescita negli anni precedenti alla pandemia.

Se non bisogna demonizzare questo mondo, è sicuramente necessario conoscerlo e normarlo. Perché negli ultimi anni, ad un incremento esponenziale degli introiti non sono seguiti conseguenti aumenti nella qualità lavorativa degli impiegati dell’indotto. Le maggiori problematiche sono correlate al fatto che i lavoratori, per evidenti questioni di risparmio economico, vengano considerati autonomi e non dipendenti seppur ne integrino tutti i presupposti. Questo significa nessuna tutela, nessun trattamento pensionistico, nessun avanzamento di carriera. Queste professioni vengono tutt’ora considerate, dalla maggior parte dei datori di lavoro e da una parte dell’opinione pubblica, come lavoretti saltuari utili ad “arrotondare” uno stipendio. Eppure la realtà è molto più complessa di così, essendo sempre più corposa la moltitudine per cui queste professioni rappresentano l’unica fonte di reddito, con orari di lavoro anche oltre il limite di un impegno a tempo pieno “tradizionale”.

In Europa e al di fuori qualcosa si sta muovendo: in Spagna ad aprile il Governo ha annunciato, dopo una sentenza del tribunale nazionale, di voler emanare un decreto per conferire lo status di dipendente ai lavoratori delle consegne. In Gran Bretagna una simile pronuncia della Suprema Corte ha portato Uber a considerare lavoratori dipendenti 70mila autisti, a cui verrà riconosciuto il diritto al salario minimo e il trattamento pensionistico.

L’Italia è presa a modello per l’impegno su più fronti che si sta cercando di mettere in campo: pensiamo, prima di tutto, alla Legge sul Caporalato che ha nei fatti sottratto una parte di economia del paese a questo dramma sociale, al protocollo anti-caporalato promosso dal Ministro del Lavoro Andrea Orlando con sindacati e Assodelivery, le nuove assunzioni con contratti maggiormente tutelanti di Just Eat, l’incontro calendarizzato a breve con Amazon per i lavoratori dell’indotto.

Non è una necessità monolitica quella di avere un contratto stabile, ne siamo consapevoli, soprattutto in un mondo del lavoro che travolge e si stravolge da un momento all’altro. Siamo ben consci che ci sono tante persone che ad un contratto più tutelante ma meno redditizio preferiscono un contratto più flessibile.

E’ proprio questa però la battaglia di civiltà che dobbiamo portare avanti, convintamente, come Partito Democratico: chiamare le cose con il proprio nome e offrire una scelta. Questo significa che se un’azienda vuole avere un dipendente deve offrirgli la possibilità di essere inquadrato contrattualmente in questo modo, non possiamo più tollerare de-mansionamenti fittizi utili solo ad aumentare il margine di profitto delle piattaforme. A quel punto, il lavoratore avrà la possibilità di scegliere quale tipologia preferirà, ma partendo dal presupposto che un lavoro di qualità, che realizzi veramente ogni dipendente, è un limite che non possiamo più permettere venga superato.

Vaccini: a che punto è la Regione Piemonte?

Vaccini: a che punto è la Regione Piemonte?

Nella lunga notte della pandemia, da gennaio abbiamo iniziato a intravedere un lumicino di speranza: i vaccini. I dati in arrivo da Israele, dove la vaccinazione “a tappeto” ha già raggiunto soglie rilevanti, sono confortanti: crolla il numero dei contagi, gli ospedali respirano, le vittime sono poche unità (solo 9 il 25 marzo), le attività stanno riaprendo i battenti e le persone si stanno riappropriando a piccole dosi della loro vita. Non sfuggono, chiaramente, le differenze con l’Italia: numero di abitanti ridotto, dosi sufficienti per la quasi totalità della popolazione, gestione efficiente. Questa prospettiva però ci deve far correre, più che possiamo, perché abbiamo tutti fame di vita, lavoro, socialità. Ogni ritardo sono vite perse che si accumulano.

In Piemonte come stiamo andando? Ieri ci è stato finalmente consegnato in Commissione Sanità un primo report sulla campagna vaccinale.

Cercheremo di tracciare un quadro più oggettivo possibile, eliminando ogni faziosità che in questa materia ed in questo momento non aiuterebbero nessuno. Parliamo di dati e di suggestioni per migliorare il servizio, seguendo l’esempio di altre regioni che si sono dimostrate virtuose.

Va premesso che la Regione Piemonte non sta gestendo la campagna vaccinale peggio della media delle Regioni italiane: 3 giorni fa sono state inoculate 10.118 dosi, 2 giorni fa 11.182, ieri 17.207. Dall’inizio della campagna si è proceduto alla somministrazione di 705.678 dosi (delle quali 245.510 come seconda).

Ricordiamo però che la popolazione del Piemonte conta 4,3 milioni di persone, per cui il numero di vaccini per raggiungere la quota necessaria all’immunità di gregge è ancora distantissime, serve cambiar passo.

Abbiamo tre ordini di problemi: le dosi, il personale, l’organizzazione logistica.

La mancanza di dosi non è da imputarsi all’amministrazione regionale, come neppure a quella statale, non essendo ancora le case farmaceutiche in grado di provvedere alla richiesta degli Stati. Diciamo però che questo problema ogni giorno è più vicino ad essere risolto, poiché le dosi dei vaccini già a disposizione rispettano in gran parte il cronoprogramma e andranno ed aumentare. La grande svolta si avrà poi quando le dosi di JohnsonandJohnson arriveranno: come sappiamo, questo vaccino è monodose e si conserva a temperature meno rigide. Semplificando, potrà essere inoculato dai medici di famiglia, dalle farmacie, in ogni luogo messo a disposizione.

Da qui al tema più complesso: il personale. Ad oggi, anche se avessimo a disposizione le dosi sufficienti ad una vaccinazione massiva, non avremmo il personale sanitario sufficiente: questo perché all’appello della Regione ai medici di base ha risposto solo il 40% rendendosi disponibile (hanno aderito sinora oltre 800 medici di medicina generale per vaccinare nei centri allestiti dalle Asl e circa 450 medici hanno dato disponibilità a vaccinare nel proprio studio, forse già dalla prossima settimana, gli over 75), i numeri sui medici in pensione che accetteranno l’invito non possiamo ancora quantificarlo (anche se molti sembrano essere restii perché la remunerazione interromperebbe il trattamento pensionistico ex articolo 3 bis della legge di conversione del decreto legge 2/2021), il bando destinato agli specializzandi è stato appena pubblicato e non sappiamo quante adesioni ci saranno.

Il Piemonte ha garantito di poter arrivare in brevissimo tempo a 20.000 inoculazioni al giorno, ma come pensa di arrivare alle 36.000 richieste dal Governo quando sarà disponibile J&J?

A volte seguire il buon esempio di altre regioni potrebbe essere un primo passo: il Lazio sta per iniziare a vaccinare fino alle 24 ad esempio, il che sembra una soluzione ragionevole. Essendo in guerra potremmo spingerci anche oltre, quando le dosi lo consentiranno, ed arrivare ad una somministrazione h24, con prenotazioni successive durante tutto il corso della giornata: per recuperare la nostra vita, saremmo tutti disponibili a puntare anche una sveglia alle 3 di notte per ricevere la nostra dose.

Altra criticità è quella relativa ai “furbetti del vaccino”: è intollerabile che si superino le file, soprattutto in questa fase in cui un vaccino in meno può significare una morte in più. E’ altresì inaccettabile, però, che anche solo una dose venga sprecata: per questo è urgente che la Regione si doti di un sistema di lista di attesa pubblica e trasparente per una “reperibilità” di volontari a ricevere le dosi avanzate dopo la regolare programmazione. Così che non vengano premiati i disonesti, ma che comunque non si sprechi una goccia della nostra unica speranza.

La fine della vaccinazione degli over80, promessa entro il 15 aprile, avverrà il “15 aprile e un po’”, secondo quando riporta il Presidente Cirio. Qualche giorno di ritardo non è la fine del mondo, anche considerato l’assurdo allarmismo degli scorsi giorni sul vaccino Astrazeneca. Però è un cambio di passo quello che si richiede a questa amministrazione regionale: a breve le dosi ci saranno, se non saremo pronti a somministrarle tutte, tutto il giorno, tutti i giorni, non avremmo svolto il compito principale che le istituzioni hanno in questo momento drammatico.

Noi restiamo alla finestra, cerchiamo di stimolare questa amministrazione regionale senza preconcetti: perché ogni persona che vacciniamo salva la sua vita e quella di chi gli sta intorno. E tutti gli sforzi necessari a far sì che la macchina pubblica sia pronta ad essere efficiente devono essere messi in campo oggi, non domani.

8 marzo: con lo sguardo al futuro, consapevoli che c’è ancora molta strada da percorrere.

8 marzo: con lo sguardo al futuro, consapevoli che c’è ancora molta strada da percorrere.

In questa giornata particolarmente importante, ho scelto di pubblicare un pensiero di Noemi Favale, Presidente della Consulta delle donne di Nichelino e Presidente pro-tempore della Consulta Pari Opportunità del Consiglio regionale del Piemonte.

8 marzo: oggi celebriamo le conquiste fatte fin ora in tema di diritti delle Donne e guardiamo al futuro, consapevoli che c’è ancora molta strada da percorrere.

Ancora oggi infatti, ovunque nel mondo, senza distinzione di etnia o ceto sociale, molte donne sono discriminate, ingabbiate all’interno di ruoli che per consuetudine sociale abbiamo affidato loro, private della possibilità di decidere del proprio corpo o di gestire come desiderano vita familiare e professionale.
Ecco perché l’8 marzo non é una festa. Oggi non vogliamo ricevere auguri.
Il linguaggio é importante: é il modo in cui descriviamo la realtà che ci circonda. Sappiamo che la lingua muta insieme ai tempi che cambiano, si adatta alle novità, si forgia su concetti nuovi, su ruoli e figure in crescita. Allora chiamateci con il nostro nome quando riusciamo ad arrivare dove prima c’erano solo uomini. Continuiamo ad essere maestre, infermiere, cameriere e segretarie, ma siamo anche avvocate, direttrici, ministre. É stato duro e faticoso e lo é ancora, ogni donna sa quanto bisogna lottare (con se stesse soprattutto!) e con retaggi culturali che volenti o nolenti ci appartengono e sono scavati in noi fin dall’infanzia. Ecco perché credo che il più grande lavoro di contrasto a stereotipi e pregiudizi debba essere svolto dalla tenera età, a scuola, dove bambini e bambine possano confrontarsi su dignità, libertà e rispetto e portare dentro di sé per tutta la vita, come consapevolezza ormai acquisita, questi tre semplici concetti in grado di rivoluzionare il mondo.
Vogliamo contrastare la violenza, scardinare i presupposti di prevaricazione su cui essa si fonda, perché i femminicidi sono solo il punto di arrivo di meccanismi fini e complessi di cui non sempre siamo consapevoli.
Non abbiamo bisogno di protezione degli uomini in questo senso. Abbiamo bisogno di camminare fianco a fianco, con pari impegno e responsabilità, verso battaglie e conquiste che richiedono sicuramente rinunce per molti uomini, richiedono la forza e la determinazione di correggere meccanismi sbagliati che appartengono anche a loro. Sono però rinunce necessarie, per la conquista di diritti civili e sociali che devono essere ugualmente distribuiti. Dobbiamo lottare insieme per una genitorialità condivisa, per garantire la piena realizzazione di ogni individuo, per non relegare solo le donne alla cura di bambini e anziani, per poter dire DAVVERO che abbiamo realizzato finalmente il sogno delle Pari Opportunità per tutti.

Niente auguri oggi, solo una riflessione condivisa.

Noemi Favale

 

 

 

Ospedale unico ASL TO5: c’è la nuova perizia idrogeologica. Partiamo?

Ospedale unico ASL TO5: c’è la nuova perizia idrogeologica. Partiamo?

Le vicende che si stanno alternando intorno alla realizzazione del nuovo ospedale unico dell’ASL TO5 sono ormai note a tutti: la Regione Piemonte, durante la scorsa legislatura, ha individuato la zona Vadò (Moncalieri – Trofarello) come l’area più idonea tra quelle individuate dall’assemblea dei Sindaci dell’Asl TO5.

Poi sono sorte, in alcuni, perplessità riguardo la sicurezza idrogeologica dell’area. Perplessità più che legittime, nessuno vuole costruire un’opera pubblica di quelle dimensioni in un’area impraticabile, tanto meno un ospedale che il sistema sanitario necessita così urgentemente.

Per questo è stata assegnato ad un pool di esperti indipendenti la realizzazione di uno studio sul tema. L’esito, nelle mani dei comuni di Moncalieri e Trofarello, ha dato parere positivo: lo studio confermava la possibilità di costruire in quell’area.

2019: cambia il vento politico in Regione Piemonte. Cirio vince le elezioni e l’Assessore alla sanità Luigi Icardi prende posizione, dicendo che l’area va ulteriormente analizzata per essere certi di non compiere errori nella scelta dell’area. La necessità di ripete uno studio che già esiste è discutibile, ma l’Assessore ha la facoltà di richiederlo e quindi non ci opponiamo.

Il 19 Giugno chiedo, con un Question Time in Consiglio regionale, se qualcosa si muove o se l’Amministrazione regionale ha deciso di bloccare il progetto: vi riporto la risposta testuale dell’Assessore perché oggi si rivela fondamentale:

“(…) Tale perizia dovrà valutare, in conclusione, alla luce delle risultanze e delle analisi e degli approfondimenti di cui sopra, l’identità dell’area in oggetto per la realizzazione del nuovo presidio ospedaliero. La perizia dovrà esaminare, inoltre, l’idoneità dell’area alla realizzazione dell’opera (fatta salva la variante di carattere urbanistico) anche in relazione alle corrispondenti norme idrogeologiche vigenti nel piano regolatore. L’unico motivo per cui non si è ancora dato mandato è questo: aspettiamo l’esito della perizia. Mi spiego meglio. Noi, in Piemonte, siamo riusciti a costruire alcuni ospedali (questo glielo aggiungo) come quello di Verduno, su una collina, che è costato 30 milioni per le palificazioni per drenare l’acqua; abbiamo costruito in località Raneto a Nizza: abbiamo costruito in località Fontanone e in località Millefonti. Sembra che la ricerca dei terreni per i nostri ospedali la facciamo fare dai rabdomanti, quindi credo che una misura prudenziale come una perizia separata – e al momento, ripeto, della scelta non l’abbiamo agli atti, non esiste – sia una valutazione prudenziale quantomai necessaria. Fatta tale perizia, nel momento in cui ci diranno che il sito è idoneo, partiranno tutte le procedure”.

Legittimo, aspetteremo questa perizia.

L’Asl si è attivata per produrre la perizia affidando l’incarico al centro sulla sicurezza delle Infrastrutture e Costruzioni (SISCON) del Politecnico di Torino, che prevedeva un termine di presentazione di 90 giorni con data ultima di presentazione fissata al 31 dicembre 2020.

Oggi questa perizia c’è. E cosa dice? Dice che l’area risulta “tecnicamente idonea” alla realizzazione della struttura, pur suggerendo degli interventi cautelativi per garantire la sicurezza geologica, idraulica, geotecnica e sismica.

Quindi l’area va bene, le richieste dell’Assessorato sono state esaudite. Certo, andranno fatti degli interventi per garantire in via precautelare la totale sicurezza dell’area, come (in caso di piogge eccezionalmente intense) prevedere un idoneo sistema di pompaggio tramite pozzi per l’evacuazione delle acque e garantire un monitoraggio costante dei livelli d’acqua tramite sonde multiparametriche. Chi amministra, però, sa che degli interventi del genere sono assolutamente di routine quando si intende realizzare un’opera pubblica di queste dimensioni, costi e di tale complessità.

Alla mia nuova interrogazione del 20 Gennaio l’Assessore Icardi ha risposto che gli uffici sono già al lavoro e la procedura è avviata. Ha aggiunto poi che per fare tutte le valutazioni e portare a completamento il percorso con tutti gli approfondimenti necessari sarà indispensabile coinvolgere anche l’Inail che ha messo infatti a disposizione per l’intervento 202 milioni, a cui si aggiungono i 60 della Regione.

Ogni approfondimento è lecito, ma non si utilizzi strumentalmente la questione per dilazionare i tempi: siamo già oltre i tempi utili. I lavori di consolidamento strutturali sono assolutamente ordinari: nessuno sperpero di risorse si realizzerebbe per dei semplici lavori di maggiore sicurezza.

Per cui Presidente Cirio, Assessore Icardi e Sindaci ancora titubanti: partiamo?

L’ospedale è urgente per la nostra area, abbiamo i progetti, ci sono le risorse, si può fare a Vadò.

Volete fermarlo per una questione politica? Ad oggi, è l’unico motivo (imbarazzante e da irresponsabili direi…) per cui potreste fermarlo.

Se lo farete, però, dovrete spiegare ad ogni paziente che dovrà essere curato in strutture in difficoltà, come attualmente sono i presidi della zona, che la loro salute vale meno dei vostri intenti di partito.

2020: un anno in Consiglio Regionale del Piemonte

2020: un anno in Consiglio Regionale del Piemonte

Volge al termine, tra la rassegnazione e la speranza di un futuro più roseo, l’anno più drammatico della storia recente. L’equazione “2020=Covid” è inevitabile: qualche riflessione è dovuta, ma cercherò di parlarvi anche di altro, perché non possiamo rassegnarci al fatto che questo dramma epocale totalizzi le nostre vite, specialmente ora che la campagna vaccinale in partenza ci fa intravedere la luce in fondo al tunnel.

Nei primi mesi dell’anno, con un orecchio distratto ascoltavamo le notizie provenienti dalla Cina, pensando che un focolaio di quelle dimensioni non potesse trasformarsi nella belva che ha inghiottito l’intero pianeta in quest’anno. Pregi e difetti della globalizzazione: tra gli altri, i collegamenti fitti come non mai hanno prodotto la prima pandemia diffusa in tutti i continenti. Il mio lavoro in Regione Piemonte proseguiva quello svolto nei mesi precedenti: sostegno alle aziende in crisi (ultima la Mahle di La Loggia), promozione della Palazzina di Caccia di Stupinigi, attenzione all’edilizia scolastica e impegno contro ogni tipo di infiltrazione malavitosa nelle istituzioni pubbliche.

Poi, il terremoto: i casi di contagio in Italia crescono esponenzialmente e il sistema pubblico deve far fronte ad un’emergenza mai vista. Non mi dilungherò nel racconto delle vicende tristemente note a tutti, ma vi racconto la gestione piemontese della pandemia. Come dire: la pandemia ha travolto tutti ed era un sentiero scosceso. Alcuni si sono ritrovati guidati da squadre di marinai abituati alle tempeste ed altri da marinai bendati, anche un po’ alticci, come il celebre “Spugna” del cartone di Peter Pan. Non sarò io a dirvi quale sorte è toccata a noi piemontesi, potrete farvi voi un’idea considerando quanto successo.

Siamo rimasti tutti spiazzati dalla portata della malattia, che ha messo a dura prova il sistema sanitario. Va tuttavia sottolineato che dato il contesto e i mezzi a disposizione la struttura sanitaria ha reagito come meglio non poteva.  Perché forse è necessario precisare il contesto in cui si sono trovati ad operare: la cabina di regia, politica prima che tecnica, era scomposta e ondivaga: mancavano linee chiare di intervento, non sono state impegnate le risorse adeguate, le istituzioni sono state coinvolte poco e male. Risultati: Regione con numero di tamponi eseguiti di gran lunga inferiore alle altre paragonabili come numero di abitanti, confusione totale, mancanza di coordinamento, dramma delle RSA, apnea delle strutture ospedaliere. Nessuna Regione è stata immune dai danni, alcune però hanno saputo reagire meglio e approntare delle contromisure che hanno prodotto una risposta più efficiente di tutto il comparto. Bipartisan: sinistra e destra. La pandemia non ha fatto distinzioni di colore politico. Di capacità amministrative però sì, eccome.

Come opposizione abbiamo fatto tutto ciò che era nelle nostre facoltà: siamo stati propositivi e mai ostruttivi. Abbiamo messo al centro della nostra attività la responsabilità di mettere da parte lo scontro politico e di concentrarci tutti per cercare di attutire i colpi che stavamo subendo. Anche se ce l’hanno messa tutta per cercare di non coinvolgerci: basti pensare alla Commissione d’indagine Covid istituita colpevolmente in ritardo e osteggiata ad oltranza dalla maggioranza.

Così, tra le altre azioni, io ho proposto di eliminare il pedaggio della Tangenziale per i sanitari impegnati in prima linea: il mio ordine del giorno è stato approvato all’unanimità e poi è diventato realtà grazie agli enti gestori, concretizzando una misura minima di civiltà per cercare di aiutare chi ogni giorno non faceva l’eroe, ma semplicemente faceva il suo lavoro con dignità. Pensate a come sarebbe il nostro paese se ogni giorno, ognuno di noi, facesse semplicemente questo: fare al meglio il proprio lavoro. Loro lo hanno fatto e noi saremo per sempre grati. Vi ricordate quante volte abbiamo sentito, a mezzo stampa, l’urlo di dolore dei sanitari che dicevano che il sistema Piemonte non stava funzionando? Dalla medicina territoriale alle USCA (poche e costituite in ritardo), dagli ospedali ai laboratori di analisi, ogni cosa sarebbe potuta essere gestita in modo più adatto.

L’amministrazione regionale ha il suo scopo principale nel destinare le risorse, come sappiamo.

Come sono state utilizzate le risorse in questa fase drammatica?

Senza logica.

Potrà sembrarvi una valutazione troppo dura, ma la gestione economica di questa amministrazione si è da subito contraddistinta per la mancanza di una visione prospettica. Basti pensare al Riparti Piemonte e al Bonus Piemonte: misure da 820 milioni di euro in totale assegnate in base a codici Ateco che sembravano estratti a sorte, con inspiegabili esclusioni e senza una linea che servisse a delimitarne i contenuti.

 

In questo ambito ho portato il mio contributo con interrogazioni e ordini del giorno che volevano far mantenere alto il livello di attenzione sui bandi e gli appalti d’emergenza perché, come sappiamo, nelle procedure semplificate trovano spesso ampi spazi di manovra le organizzazioni criminali. Ho chiesto alla Giunta di non dimenticarsi dei lavoratori dello spettacolo e della cultura, che erano stati esclusi da ogni forma di sostegno, di pensare ai circoli culturali che tutt’ora soffrono per le chiusure imposte, ho chiesto di approfittare della chiusura delle scuole per importanti interventi di messa in sicurezza degli edifici. Per poi arrivare ad oggi, dove l’incapacità dell’amministrazione regionale non ha permesso di approvare in tempo il bilancio di previsione, costringendo gli uffici a spendere le risorse in dodicesimi, impedendo così azioni sistemiche e a lungo termine. Come potrete immaginare, gran parte delle nostre richieste sono cadute nel vuoto, ma noi non smetteremo di tenere accesi i riflettori su quei settori che, più degli altri, hanno sofferto per questa pandemia.

Il 2020 però è stato anche un anno di grande impegno e qualche risultato lo abbiamo ottenuto. Penso, ad esempio, al regolamento per i Distretti del Cibo finalmente approvato, che ci consentirà di riconoscere le eccellenze agroalimentari di Stupinigi, del Chierese e del Carmagnolese. Penso al lavoro svolto sul tema dell’Hate Speech, che appena i tempi saranno più sereni diventerà una proposta di legge che ad oggi è pronta e attende solo l’inizio dei lavori in Commissione. Penso ai lavori svolti sul bene confiscato di San Giusto Canavese e l’inizio dei lavori per una legge quadro sulla sostenibilità ambientale della nostra Regione.

Per quanto mi riguarda, sotto il profilo strettamente numerico, posso dirvi che ho presentato da primo firmatario 8 OdG (ordini del giorno) e 7 Interrogazioni. Da Cofirmatario 49 OdG, 6 Interrogazioni, 10 Mozioni, 1 Proposta di Deliberazione e 6 Proposte di Legge.

Ho partecipato al 100% delle sedute d’aula, 54 in totale.

 

Solo e soltanto il mio stretto dovere, per continuare ogni giorno e ripagarvi della fiducia che avete riposto in me.

Non sappiamo che 2021 ci attende, ma possiamo sperare con buona probabilità che sarà meglio di quest’anno. La tenacia con cui in questi primi mesi del 2021 dovremmo ancora resistere verrà ripagata dalla libertà che la scienza, per mezzo di questo vaccino, ci regalerà. L’anno nuovo sarà migliore di questo, mentre per questa Giunta regionale posso solo sperare che si tolga la benda, si faccia una bella dormita e si risvegli più coscienziosa e adatta alla responsabilità alla quale è chiamata nei confronti di tutti noi Piemontesi.

Noi, nel frattempo, resteremo vigili e continueremo a costruire per il futuro del nostro Piemonte!

PIEMONTE ZONA ROSSA: ECCO LE MISURE DEL NUOVO DPCM (TESTO COMPLETO)

PIEMONTE ZONA ROSSA: ECCO LE MISURE DEL NUOVO DPCM (TESTO COMPLETO)

E’ arrivata nella notte di ieri la firma del nuovo DPCM da parte del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Un testo che è stato ampiamente discusso con non poche polemiche da parte soprattutto delle Regioni, che per tramite di Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle Regioni scrivono: “Destano forti perplessità e preoccupazione le disposizioni che comprimono ed esautorano il ruolo e i compiti delle Regioni e delle Province autonome” chiedendo “di varare il provvedimento ristori insieme a dpcm“.

Successivamente quindi uno slittamento nell’applicazione delle misure, ecco quali sono quelle principali che impone il DPCM a partire da venerdì 6 novembre 2020 per il Piemonte, che ricordo, viene considerato al momento zona rossa.

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? VIETATI in entrata e in uscita dal Piemonte salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità, ovvero per motivi di salute.
? VIETATI tutti gli spostamenti anche all’interno del proprio comune con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso da quello di residenza, domicilio o abitazione, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di studio, per motivi di salute, per situazioni di necessità o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi e non disponibili in tale comune.
✅ CONSENTITI quelli strettamente necessari ad assicurare lo svolgimento della didattica in presenza nei limiti in cui la stessa è consentita.
✅ CONSENTITI per il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.

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? CONSENTITA INDIVIDUALMENTE l’ATTIVITA’ MOTORIA in prossimità della propria abitazione purchè comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona e con OBBLIGO di utilizzo di DISPOSITIVI DI PROTEZIONE delle vie respiratorie.
? SOSPESE le attività sportive, comprese quelle presso CENTRI e CIRCOLI SPORTIVI, anche se svolte all’aperto; sono sospesi altresì tutti gli eventi e le competizioni organizzati dagli enti di promozione sportiva.
? E’ altresì CONSENTITO lo svolgimento di ATTIVITA’ SPORTIVA esclusivamente all’APERTO ed in forma INDIVIDUALE.

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? SOSPESE a esclusione delle mense e del catering continuativo su base contrattuale.
✅ CONSENTITA la ristorazione con consegna a domicilio nonchè fino alle ore 22,00 la ristorazione con asporto, con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze.
✅ RESTANO APERTI gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande siti nelle aree di servizio e rifornimento carburante situate lungo le autostrade, negli ospedali e negli aeroporti, con obbligo di assicurare in ogni caso il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro.

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? SOSPESE le attività di commercio al dettaglio fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità sia nell’ambito degli esercizi commerciali di vicinato, sia nell’ambito della media e grande distribuzione, anche ricompresi nei centri commerciali. Restano aperte le edicole, i tabaccai, le farmacie e le parafarmacie.

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✅ CONSENTITE le attività di PARRUCCHIERI e BARBIERI e LAVANDERIE.
? CHIUSI centri ESTETICI e centri BENESSERE.

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✅ RESTANO CONSENTITI solo i banchi ALIMENTARI, sospesi quindi tutti i banchi non alimentari.

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?‍? IN PRESENZA per ASILI, scuole ELEMENTARI e classi di PRIMA MEDIA.
? DIDATTICA A DISTANZA invece per SECONDA E TERZA MEDIA, oltre che tutte le SUPERIORI. Resta salva la possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia richiesto l’uso di laboratori o sia necessaria in ragione della situazione di disabilità dei soggetti convolti e in caso di bisogni educativi speciali, garantendo comunque il collegamento online con gli alunni della classe che sono in didattica digitale integrata.
? Con future ordinanze, arriveranno aggiornamenti dal Ministro della Salute in base all’esito del monitoraggio periodico: se una regione dovesse rientrare per non meno di 14 giorni in una condizione di rischio più bassa potrà essere assoggettata a misure meno restrittive.
? E’ stato annunciato inoltre un futuro “Decreto ristori bis” per indennizzare gli operatori colpiti negativamente da queste misure restrittive.

Questo il link per scaricare il testo del DPCM completo (nella versione firmata martedì notte ma che non riporta nessuna sostanziale differenza rispetto a quello firmato oggi se non nella data dell’entrata in vigore delle misure).

Pandemia Fase 2 – Piemonte tra i più bassi come numeri di tamponi e tempi troppo lunghi!

Pandemia Fase 2 – Piemonte tra i più bassi come numeri di tamponi e tempi troppo lunghi!

Oggi in Commissione Sanità era presente il Presidente Alberto Cirio, che ha anticipato (sostituito/commissariato?) l’Assessore alla Sanità appena rientrato dal viaggio di nozze, che ci ha relazionato le ultime novità riguardo il progredire della crisi sanitaria.

Lo scenario è complesso ed in continua evoluzione, per cui il massimo che si possa fare è ipotizzare un probabile andamento della malattia e poi monitorare costantemente gli sviluppi, perché se ci ha insegnato una cosa questa pandemia è che sottostimare, minimizzare o mantenere certezze “ideologiche” sia una ricetta per un disastro assicurato.

Fonti del Ministero della Sanità hanno confermato che la seconda ondata di Covid-19 sia molto differente dalla prima: più diffusa tra le persone come i dati sui contagi ci dimostrano ma meno pericolosa. I dati delle terapie intensive e dei ricoveri, seppur i nostri ospedali siano sul limite della saturazione, sembrano indicare una minore aggressività del virus.

Secondo il Presidente Cirio non dobbiamo spaventare le persone, raccontando questi dati positivi. Eppure i dati sui contagi confermano che le precauzioni sono forse addirittura insufficienti a gestire il fenomeno, altro che “abbassiamo i toni”.

Il Dipartimento per la gestione dell’emergenza sanitaria (DIRMEI) conferma che saranno costantemente controllati i numeri relativi:

-Ai DPI (Dispositivi protezione individuali) a disposizione;

-Ai tamponi eseguiti;

-Alle postazioni di terapia intensiva utilizzati;

-Ai posti letto ospedalieri occupati. (ad oggi 5581 in tutta la Regione)

Un dato ad oggi sotto controllo, ma che potrebbe rivelarsi preoccupante riguarda la saturazione delle terapie intensive: ad oggi i posti nella Regione Piemonte sono 614, di cui liberi 347. Per questo il fenomeno va circoscritto, non possiamo permetterci di arrivare oltre i livelli di saturazione di questa primavera. In Piemonte si ha un incremento, ad oggi, da 3 a 5 T.I. al giorno.

Un altro problema drammatico sarà con la situazione del personale: ci comunicano un aumento di 2053 figure professionali contrattualizzate quest’anno, 278 assunti dalle Asl per attività di supporto alla scuola, 80 medici per le RSA. Bene, restano però due fronti aperti:

i SISP e le USCA sono allo strenuo, il personale è insufficiente, provocando il famoso “collo di bottiglia” nel procedimento tra il tampone, il rintracciamento dei contatti, le comunicazioni sull’isolamento fiduciario;

Il personale ospedaliero è esausto, se non adeguatamente rafforzato non avrà più l’energia mentale e fisica per affrontare una seconda ondata.

Nonostante le rassicurazioni di Cirio la realtà è valevole di costante controllo: il Piemonte continua ad avere numeri monstre di contagi, nonostante il numero di tamponi sia ingiustificabilmente inferiore a quelli effettuati da Regioni come l’Emilia Romagna, il Veneto o la Toscana. Regioni che con più tamponi riscontrano meno positivi della nostra Regione. E allora la domanda sorge spontanea: quanti sono i contagi veri in Piemonte?

Tra l’altro il tempo in coda per effettuare il tampone nei pit-stop arriva fino a sette ore e mezza. Perché?

  • Cirio parla di 10.898 tamponi al girono ma la media degli ultimi giorni sono 7000, abbondantemente sotto la soglia richiesta dai livelli nazionali pari a 11.000 tamponi!
  • Perché non esiste un applicativo unico (come in Toscana ad esempio) e omogeneo per tutte le ASL regionali per richiedere il tampone? Ci sono pit-stop nei quali puoi andare solo se hai l’autorizzazione del medico e in altri ci si può andare autonomamente. Vi sembra un criterio logico?
    Sul tema noi opposizioni sono mesi che chiediamo un’informativa, perché solo oggi ne abbiamo notizia?
  • Com’è possibile che il livello di saturazione dei posti letto di ricovero anche non in terapia intensiva siano già nella maggior parte degli ospedali piemontesi vicino al 75%?

Sono sempre i soliti problemi organizzativi e di falle nella catena di comando, ma a chi sono imputabili?

  • Quello che continua a non funzionare è la regia, cioè chi deve coordinare e dare le linee guida pur avendo strumenti adeguati lo sta facendo male!
  • La catena di comando con in testa l’assessore e il Presidente Cirio, non ha funzionato durante la fase 1 e continua a non funzionare nella fase 2.

Non serve a nessuno il terrorismo psicologico, ma Boris Johnson, Trump e Bolsonaro (tra molti altri) ci hanno dimostrato che sottovalutare il problema produce drammi ancora peggiori.

Siamo in “guerra” e non è ancora arrivato il momento di rilassarsi.

Social network e vita reale: abbiamo superato il punto di non ritorno?

Social network e vita reale: abbiamo superato il punto di non ritorno?

“I social sono pericolosi” è un mantra che chiunque, in questo periodo ha detto o sentito dire centinaia di volte. Lo sappiamo tutti, è ormai di dominio pubblico, ma certe vicende riportano in superficie un problema che stentiamo ancora a conoscere a fondo e a cui facciamo fatica porre dei veri correttivi.

Così la vicenda del bambino di 11 anni di Napoli che si getta dal balcone per “paura dell’uomo col cappuccio” ha questo impatto: ci sbatte in viso la drammaticità raggiungibile da un uso inconsapevole dei social.

ATTENZIONE: le indagini sono ancora in corso e dovremo seguirle con attenzione per comprendere i contorni della vicenda, perché come sappiamo le onde di “challenge dell’orrore” come la Blue Whale o adesso la “Jonathan Galindo” siano spesso fake news. O meglio, non esistono circostanze che possano collegare questi casi direttamente a sfide estreme lanciate da psicopatici criminali. Questo però deve farci riflettere ugualmente: probabilmente non esiste nessuna persona fisica dietro queste vicende, è il clima generale dei social a colpire gli adolescenti più fragili emotivamente portandoli anche a gesti estremi come questo.

Fuor di ipocrisia, se si vuole ragionare in maniera seria e precisa dell’argomento bisogna partire da una consapevolezza che pervade, chi più chi meno, ognuno di noi: i social sono un miracolo.

La maggior parte di noi non può più immaginarsi la vita senza i nostri profili virtuali: alcuni di noi li utilizzano per passatempo, alcuni ci lavorano, altri semplicemente li utilizzano per mantenere i rapporti sociali o quanto meno una parvenza di essi. Provate a guardare la prima stagione della serie televisiva  “Black Mirror” (il titolo si riferisce allo schermo nero di ogni televisore, monitor o smartphone) per esempio e capirete quali rischi corriamo in un potenziale futuro distopico (rappresentazione di una realtà immaginaria ma prevedibile sulla base di tendenze del presente percepite come altamente negative, in cui viene presagita un’esperienza di vita indesiderabile o spaventosa).
Proprio per questo intrinseco valore strabiliante dei social dobbiamo però riconoscere che creino un’assuefazione in persone adulte, completamente formate, stabili emotivamente e mediamente serene.

Cosa sta succedendo, però, in questo momento in cui gli “users” delle piattaforme sono diventati adolescenti o bambini in età scolare? Come può un ragazzo di 11 anni avere gli strumenti emotivi e mentali per affrontare razionalmente le insidie che si nascondono dietro ad ogni profilo, articolo, tag o challenge?

Partiamo da un dato: la maggior parte di noi ha un pieno ricordo della propria vita pre-social. Abbiamo iniziato ad utilizzare questi strumenti in età adulta o comunque a ciclo di studi quasi terminato e abbiamo adattato le nostre vite ad una nuova tipologia di comunicazione. I nati dal 1996 in poi, invece, si sono trovati iscritti a Facebook durante le scuole medie: un periodo già difficile in generale, in cui i complessi fisici, comportamentali e mentali sono stati esponenzialmente accresciuti dal costante confronto con coetanei di tutto il mondo, nella veste di “vite di plastica” che i social confezionano ad arte.

Possiamo fermare al 2009 la data in cui l’uso dei social sia diventato comune negli adolescenti e pre adolescenti: diversi studi hanno cercato di quantificare i danni prodotti dall’uso di ragazze e ragazzi sani e mediamente ben inseriti in contesti sociali tutelanti, ma senza adeguati strumenti conoscitivi per reagire alle dinamiche online. Riportiamo qualche dato, tratto dal docufilm “The social dilemma” di cui caldeggiamo fortemente la visione per tutti coloro che vogliono capire a fondo le dinamiche e i rischi dei social.

Negli Stati Uniti, dal 2009 il numero di ragazze che si sono fatte del male per cause connesse al malessere psicologico è aumentata del +62% nella fascia di età 15-19, e del +189% nella fascia 10-14. Il triplo.

Il dato si fa ancora più drammatico quando si parla di suicidio: nella fascia 15-19 sono aumentati del 70%, nella fascia 10-14 del 151%.

Raccapricciante.

In Italia non abbiamo ancora dati così accurati, perché il fenomeno è sottostimato, ma non possiamo pensare che il problema non esista o sia di poco conto. Bisogna agire, ora. Perché il problema reale non sono solo queste “Challenge” che esplodono ciclicamente e che si risolvono nella maggior parte dei casi in tendenze che passano di moda o bolle di sapone di mitomani con macabro senso dell’umorismo. Il problema è che bisogna conoscerla a fondo l’industria globale dei social network per poter fornire delle armi di autodifesa a coloro che per età, problematiche sociali o fragilità non riescono a filtrare gli stimoli con cui sono bombardati ogni giorno e che a volte tutto questo produce drammi personali e famigliari.

In questa battaglia ad armi assolutamente impari, gli unici argini tra i nostri ragazzi e il mondo virtuali siamo noi genitori: sappiamo bene che proibire l’utilizzo del telefono ai nostri figli fino alle scuole superiori si diventato pressoché impossibile, ma ci sono delle semplici accortezze che possiamo costruire nel corso del tempo. Prima tra tutte, come sempre, è l’esempio: dobbiamo renderci conto per prima cosa di quanto tempo noi passiamo inutilmente sui Social, della nostra dipendenza, cercando di forzarci a non utilizzarli se non strettamente indispensabile. Poi, un confronto costante e un continuo aggiornamento sulle nuove piattaforme, sulle tendenze, sui giochi: bisogna conoscere cosa stiamo affrontando. Come sempre la soluzione migliore non sembra essere la repressione, ma la condivisione e un comune sforzo a cercare mezzi alternativi per passare il tempo o mantenere i rapporti personali.

Il compito di ogni genitore e di ogni istituzione sia quello di prendere coscienza della dimensione del problema e mettere in atto tutto il necessario per rallentare una deriva che, troppo spesso, rischia di sembrare totalmente fuori dal nostro controllo.

Amministratori sotto tiro – Torino e il Piemonte sono immuni?

Amministratori sotto tiro – Torino e il Piemonte sono immuni?

Il rapporto “amministratori sotto tiro” redatto da Avviso Pubblico ogni anno fotografa la realtà delle intimidazioni subite da amministratori locali, funzionari pubblici o candidati alle elezioni di enti locali.

Una fotografia di una condizione che troppo spesso si vorrebbe dimenticare, ignorare, nascondere sotto al tappeto: lo straordinario lavoro di Avviso Pubblico invece ci costringe a prendere atto, con la forza fredda dei numeri, della dimensione e complessità del problema. Per la prima volta, nel 2019, si sono registrati atti intimidatori in ogni regione d’Italia. Ormai non serve neanche più ribadire che chi circoscrive il fenomeno mafioso al Mezzogiorno compia o un errore marchiano o una svista dolosa.

Una ogni 15 ore. Nel nostro paese ogni 15 ore viene minacciato, intimidito, aggredito verbalmente o fisicamente un amministratore o un funzionario pubblico.

Grande peso in questa relazione continua ad essere costituito dalle regioni del Sud Italia, con la Campania in testa a questa triste classifica, ma non sottovalutiamo i casi riscontrati nella nostra regione: 22 casi nel 2019. Una ogni due settimane circa, un dato raccapricciante. La provincia di Torino nello specifico è stata bersagliata da questi atti violenti, rendendola insieme a Milano la provincia più colpita del Nord Italia.

Gli amministratori locali (principalmente i Sindaci) e i funzionari degli enti locali sono le categorie maggiormente bersagliate, anche semplicemente per scelte amministrative non apprezzate: il dato drammatico che emerge chiaramente dal rapporto è che un numero considerevole di aggressioni non derivi da personalità borderline con un chiaro profilo criminale, bensì da comuni cittadini anche non affiliati a clan che semplicemente riversano usando questi strumenti il malcontento sociale o la propria contrarietà ad una scelta amministrativa.

La speranza è che questo rapporto e questo ultimo dato nello specifico ci motivino a continuare il nostro instancabile lavoro di monitoraggio della cultura mafiosa prima di tutto, perché come abbiamo visto da ogni dramma sociale, difficoltà economica o personale può scaturire un comportamento criminoso “giustificato” dalla diffusa sensazione di impunità e di “così va il mondo”.

Il mondo non va così: noi saremo sempre lo Stato e alla fine, col contributo di tutti, lo Stato vincerà anche questa battaglia.

Sul sito di Avviso Pubblico si può visionare l’intero rapporto:

Amministratori sotto tiro

2 AGOSTO 1980 ore 10.25

2 AGOSTO 1980 ore 10.25

2 AGOSTO 1980 ore 10.25

Nove mesi prima i miei genitori, nonostante tutto, decisero di pensare di portare una nuova vita a nascere e crescere.

Sono nato 24 giorni dopo la strage.

Il 1980 è stato un anno caratterizzato da atti terroristici.

Il 1980 è l’anno della massima potenza della Loggia massonica P2.

Il 1980 è il periodo della grande presidenza Pertini.

 

Il 2 agosto 1980 è la data di un’altra storia tipicamente italiana: strage, trame di Stato e anti-stato, di mafie e di apparati fascisti, di informazioni deviate con servizi segreti deviati.

Oltre 25 anni di processi, con le prime indagini volutamente sviate (lo conferma la sentenza della Corte di Cassazione).

Nell’attentato rimasero uccise 85 persone e oltre 200 rimasero ferite. Le indagini si indirizzarono quasi subito sulla pista neofascista per cui furono condannati Licio Gelli, Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza e la sentenza finale del 1995 condannò Valerio Fioravanti e Francesca Mambro «come appartenenti alla banda armata che ha organizzato e realizzato l’attentato di Bologna» e per aver «fatto parte del gruppo che sicuramente quell’atto aveva organizzato», mentre nel 2007 si aggiunse anche la condanna di Luigi Ciavardini, minorenne all’epoca dei fatti e, nel 2020, quella di Gilberto Cavallini.

Condanne definitive degli esecutori, ma dopo quarant’anni i mandanti, i retroscena e le collusioni e le connivenze sono ancora da svelare e creano un’ombra su quel 2 agosto, su questa drammatica storia italiana.

L’ombra però più ingombrante è la solita mancanza di verità che nel nostro paese continua a verificarsi.  Forse sarebbe meglio dire, la mancanza di voglia di ricercare la verità. Per questa ragione abbiamo un paese che fa difficoltà ad essere giusto e solidale, che non mette la verità al primo posto perché solo così possiamo avere un’Italia che possa guardare al passato senza paura per costruire il futuro.

37 anni dopo, nonostante tutto, abbiamo deciso di pensare di portare una nuova vita a nascere e crescere.

38 anni dopo è nato Tommaso.

40 anni dopo, Tommaso ha due anni e stiamo cercando di farlo crescere per fare la differenza in questo meraviglioso paese, verso la ricerca della verità.